
Pochi giorni fa un conoscente mi posta un video sulle Grotte di Beatrice Cenci. Avevo la sensazione di averne sentito parlare (anche perché dopo le grotte del Cavallone e quelle di Stiffe, sono le più note in Abruzzo) ma non avevo mai approfondito la conoscenza. Andando sul sito delle Grotte leggo in home page “Le Grotte si visitano a buio” Rimango un po’ sorpresa. Le grotte si trovano nelle viscere della terra, dove non filtra luce e visitarle al buoi non è proprio l’ideale. E’ il caso di andare a vedere di che si tratta. Prendo appuntamento con i componenti dell’associazione “Gli amici del buio” , un nome non a caso, e vado a vado a trovarli. Raggiungere le Grotte è molto facile. Venendo da Pescara esco a Magliano dei Marsi. Proseguo per Tagliacozzo. Dopo una decina di chilometri, superato il bivio della frazione di Verrecchie, c’è un bivio a destra per le grotte, ben segnalato. Appena arrivata incontro Corrado, con cui avevo preso contatto, e un altro gruppo di visitatori, tra i quali un anziano e due bimbe.
Ci incamminiamo in un bel sentiero immerso nel verde e poco dopo ci troviamo al cospetto dell’ingresso della prima grotta: l’Ovito di Petrella, un inghiottitoio nel quale si riversano le acque della valle sovrastante.

La discesa alla Grotta di Ovito di Petrella
Scendiamo una scalinata di ferro ritrovandoci tra due strette pareti rocciose, superate le quali, si scende un’altra scalinata di ferro che porta ad un ballatoio. Qui ci troviamo di fronte ad una scena paradisiaca. Una cascata, racchiusa tra pareti verde di muschio. Un’acqua bianca spumeggiante e irruente, che forma, al fondo, un laghetto.
Tutta la caverna è parzialmente illuminata da uno squarcio aperto tra due rocce, che fa penetrare una luce particolare. La forza dell’acqua, che scende copiosa, spande nell’aria un fragore assordante. E’ musica per le mie orecchie, quella musica che ti mette voglia di muoverti e danzare seguendone il ritmo. Ne verrebbe fuori una danza tribale ma mi trattengo anche perché sono troppo interessata seguire le spiegazioni di Corrado, la nostra guida, che urla per farci sentire, a causa del rombo della cascata.
Appena fuori questa prima grotta torniamo indietro e proprio in prossimità della biglietteria, troviamo una grande fenditura che è l’ingresso della Grotta Beatrice Cenci.
Il cammino all’interno delle grotta prosegue sempre su una passerella di metallo. Siamo forniti da un casco illuminato. Intorno a noi, più avanziamo e più il buio si fa intenso. Davanti a noi Corrado, che si ferma spesso e con la sua torcia illumina le pareti o il pavimento, per farci notare stalagmiti, stalattiti, colate e vaschette, vele appese alle pareti formatesi con le correnti d’aria, i vari colori di questa realtà sotterra.
A un certo punto Corrado ci invita a spegnere le torce. Rimaniamo avvolti completamente dal buio. La grotta, in questo profondo buio, amplifica i pochi suoni che ci provengo
Continuiamo a camminare e la passerella gira intorno a un piccolo laghetto soggetto a variazioni stagionali. La torcia illumina le gocce dell’acqua che scendono nel laghetto formando larghi cerchi che si riflettono sulle pareti della grotta. Uno spettacolo unico…ora capisco il senso e l’effetto che il buio fa sui nostri sensi e su come la bellezza della grotta ne venga esaltata, spingendo i nostri sensi a percepire suoni, luci e ombre che assumono un significato proprio e che restituiscono alla grotta la sua vera essenza. Non effetti artefatti! no! qui è la grotta che si manifesta per quella che è e, il buoi, ne è parte essenziale e integrante, come quei suoni rimbombanti e le vibrazioni della flebile luce.
La grotta conserva segni della presenza dell’uomo dal neolitico, da 12000/10000 anni fa . Le tracce di questa assidua frequentazione sono evidenziati dai numerosi resti di manufatti in coccio di epoche differenti. Si notano anche buchi utilizzati per la costruzione di capanne. Numerosi anche gli ossi di animali.
Torniamo alla luce, è una giornata stupenda. Intanto è sopraggiunto un altro componente dell’associazione Alvaro.
Alvaro è un professore di agraria. Con lui la discussione si amplia. Ci spiega che siamo al confine tra i due stati del Vaticano e delle Due Sicilie, un territorio abitato anticamente da Equi. Siamo al confine con il Parco dei Monti Simbruini. La zona è altamente carsica e qui ci sono diverse faglie che si muovono. Ci parla dei terremoti e degli effetti che ha prodotto su questo territorio. Rimango ammagliata dal suo racconto. Corrado mi invita a continuare la conversazione seduti a tavola, in una trattoria di Cappadocia, che fa cucina casereccia. E così facciamo. Ci accoglie una oste molto sorridente, Maria, che ci consiglia i suoi piatti del giorno. Seduti a tavola la conversazione ci porta ad approfondire le numerose risorse dell’area e le tante opportunità per trascorrervi una gita di un giorno oppure di più giorni. Alvaro di parla anche di un antico mulino, nella contrada di Verrecchie, recentemente restaurato, ai piedi del Monte Padiglione, che sfruttava le acque del fiume Imele. Notando il nostro desiderio di visitarlo si attiva per chiamare il presidente della proloco locale, Antonella. Dopo esserci rilassati a tavola con dei
I ravioloni di Mariaravioloni ai sapori di bosco e altre golose pietanze, imbevute con un buon bicchiere di montepulciano, salutiamo Maria, con l’impegno di tornarci presto e proseguiamo per Verrecchie.
L’Antico Mulino ospita oggi il “Museo della civiltà contadina”. Al suo interno sono presenti: due mole (una idraulica e una elettrica), testimonianze della vita del mugnaio e del suo lavoro; foto di momenti della vita agreste e di momenti di vita degli abitanti, altri attrezzi. Antonella ci invita a seguirla lungo un sentiero, a sinistra del vecchio Mulino, che porta alla Sorgente del Fiume Imele. Il fiume Imele nasce alle pendici del Monte Faito e scorre per una lunghezza di 31 km, dando origine, alla fine del suo percorso, al fiume Salto. Percorriamo il sentiero che ci conduce sulla cresta del monte sovrastante Verrocchie. La montagnola si apre ad un panorama spettacolare affacciato sul monte Velino e sui tetti del borgo. Ridiscendiamo tornando al Vecchio Mulino. E’ ora di andare via, siamo nel pomeriggio inoltrato. Diventa difficile lasciare i
nostri nuovi amici. Nel corso di questa giornata ho imparato a condividere l’amore che hanno verso questa parte di territorio regionale un po abruzzese e un po anche laziale. Lo lascio sapendo che c’è molto altro da vedere ma spero di poterci tornare presto per farlo conoscere a tanti altri amici.

Un momento importante, non vado via se non porto con me un sapore puro e limpido di questa bella Terra
Prima di ripartire faccio il pieno di “acqua sorgiva” attingendola direttamente nella vasca del Mulino, voglio portarmi via la spremitura di questa Terra che contribuisca a placare la mia sete di Bellezza Universale.
Carla Martorella